0
giovedì, ottobre 17, 2013
Etichette: , ,

A breve si riprenderanno le pubblicazioni
0
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La parola samurai ha avuto origine nel periodo giapponese Heian, quando era pronunciata saburai, e significava "servo" o "accompagnatore". Fu soltanto nell'epoca moderna, intorno al periodo Azuchi-Momoyama e al periodo Edo del tardo XVI e XVII secolo che la parola saburai mutò in samurai. Per allora, il significato si era già modificato da tempo.
Durante l'era di più grande potere dei samurai, anche il termine yumitori (arciere) veniva usato come titolo onorario per un guerriero, anche quando l'arte della spada divenne la più importante. Gli arcieri giapponesi (vedi arte del kyūjutsu) sono ancora fortemente associati con il dio della guerra Hachiman.
Questi sono alcuni termini usati come sinonimo di samurai.
• Buke - un appartenente ad una famiglia militare. un suo membro;
• Mononofu- termine arcaico per "guerriero";
• Musha - abbreviazione di Bugeisha, letteralmente "uomo delle arti marziali";
• Shi - pronuncia sinogiapponese del carattere che comunemente si legge samurai
• Tsuwamono - termine arcaico per "soldato", fatto celebre da un famoso haiku di Matsuo Basho; indica una persona valorosa;
0
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
.
« Ho scoperto che la Via del Samurai consiste nella morte. »
(Yamamoto Tsunetomo)

Il samurai (侍) era un militare del Giappone feudale, appartenente ad una classe nobile. Il nome deriva sicuramente da un verbo, saburau, che significa servire o tenersi a lato e letteralmente significa colui che serve. Un termine più appropriato sarebbe bushi (武士, letteralmente: guerriero), che risale al periodo Edo. Attualmente il termine viene usato per indicare proprio la nobiltà guerriera (non, ad esempio, gli ashigaru o i fanti). I samurai che non servivano un daimyō perché era morto o perché ne avevano perso il favore, erano chiamati rōnin.
I samurai costituivano una casta colta, che oltre alle arti marziali, direttamente connesse con la loro professione, praticava arti zen come il cha no yu o lo shodō. Col tempo, durante l'era Tokugawa persero gradualmente la loro funzione militare. Verso la fine dell'era Tokugawa, i samurai erano essenzialmente burocrati dello shōgun, e la loro spada veniva usata soltanto per scopi cerimoniali.
Con il Rinnovamento Meiji (tardo XIX secolo) la classe dei samurai fu abolita in favore di un esercito nazionale in stile occidentale. Ciò nonostante, il bushidō, rigido codice d'onore dei samurai, è sopravvissuto ed è ancora, nella società giapponese odierna, un nucleo di principi morali e di comportamento che parallelamente, nelle società occidentali, è costituito da principi etici di derivazione religiosa.
0
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'India, Mauritius ed il Nepal sono nazioni a maggioranza induista. Il Nepal fino all'avvento della repubblica è stata l'unica nazione in cui l'induismo era la religione ufficiale.
L'Asia del Sud Est è diventata in larga parte induista dopo il III secolo, e fece parte dell'Impero Chola intorno all'XI secolo. Quest'influenza ha lasciato numerose tracce architettoniche, come la famosa città-tempio di Angkor Vat o tracce culturali come le danze del Bharata Natyam e del Kathakali. L'isola di Bali è a maggioranza induista, nel mezzo dell'arcipelago indonesiano, a maggioranza islamica. La stessa Indonesia ha conservato come proprio simbolo nazionale Garuda, il gigantesco uccello che trasporta Vishnu.
Si trovano altresì minoranze induiste in molti paesi: Bangladesh (11 milioni), Myanmar (2,1 milioni), Sri Lanka (2,5 milioni), Stati Uniti (1,7 milioni), Pakistan (1,3 milioni), Sud Africa (1,2 milioni), Gran Bretagna (1,2 milioni), Malesia (1,1 milioni), Canada (0,7 milioni), Fiji (0,5 milioni), Trinidad e Tobago (0,5 milioni), Italia (0,5 milioni) - cfr. Induismo in Italia -, Guyana (0,4 milioni), Paesi Bassi (0,4 milioni) e Suriname (0,2 milioni).
0
Tratto da "Storia del Karate" di K. Tokitsu - Luni Editrice.
Shigeru Egami pensa di aver seguito a lungo una via sbagliata nella sua ricerca del karate, malgrado le indicazioni di G. Funakoshi.
Egli scrive:«Ciò che scrivo qui non è che l'espressione del processo delle mie riflessioni e delle mie esperienze durante una quarantina d'anni di cammino nella via del karate.
Sarei felice se potessi portare un aiuto a chi cerca di diventare esperto di questa Via.
Penso che il Maestro Gichin Funakoshi abbia tentato di tracciare un sentiero durante i novant'anni della sua vita; ha seguito una via difficile.
Io sono arrivato fino a qui camminando saldamente e volontariamente sulla strada che ci ha indicato. Ma neanche procedere su un sentiero tracciato dai nostri predecessori è facile, poiché vi sono sempre dei problemi di stato mentale, per noi che siamo uomini comuni.
Anche se un sentiero è stato dissodato una volta, succede che si perda con il tempo.
Per questo alcuni si perdono e altri entrano in un labirinto a forza di voler trovare affrettatamente un'efficacia, ed esitano, talvolta, ad abbandonare questa penosa ricerca.
Tuttavia siamo felici, poiché vi è in ogni caso un sentiero che è stato tracciato almeno una volta.
E togliendo erbe e pietre, possiamo percepire le tracce del sentiero.
Un giorno della mia giovinezza mi sono perso, ho abbandonato questo sentiero e mi sono trovato in un labirinto... Ci ho messo del tempo a capire questa situazione, e per tornare sulla buona strada ho dovuto attraversare un periodo penoso e difficile.
Quando mi sono ritrovato sulla buona strada, avevo già più di quarant' anni.
Ma ritrovarmi in una giusta via mi ha riempito di gioia, e da quel giorno ho potuto far fronte a tutti i tipi di difficoltà e sono arrivato in ogni caso fino all'ultimo punto del sentiero che il mio Maestro aveva tracciato.
Non bisogna mai aver fretta, è la lezione che ho tratto dalle mie esperienze...»
Egli riporta questo aneddoto, che illustra l'allenamento che praticava tra i venticinque e i trent'anni, e i consigli dati da G. Funakoshi.
«Verso il 1936, i giovani allievi si sono riuniti attorno al M° Yoshitaka Funakoshi per costruire il dojo centrale, che fu chiamato Shotokan partendo dallo pseudonimo in calligrafia del maestro Funakoshi.
Chiamavamo questo dojo "Honbu dojo" (dojo centrale).
Eravamo tutti molto fieri di questo magnifico dojo che avevamo costruito noi stessi, cosa che stimolava l'atmosfera dell'allenamento.
I due maestri Funakoshi - Yoshitaka e Gichin - ci allenavano con un sorriso di soddisfazione.
Si era nel 1937 o 1938, poco dopo la fine dei miei studi all'università. Mi allenavo con accanimento, di giorno al dojo dell'università e la sera al dojo centrale.
Una sera mi allenavo allo spostamento nel kata Tekki in questo dojo, in cui non c'era nessuno. Parlando a me stesso, dico: "Senza posare il tallone, posare il piede con sokuto..." ed effettuo un fumikomi con determinazione; allora ho sentito un rumore secco del parquet.
Sorpreso, guardo il suolo.
Il mio sokuto ha rotto in due una delle assi del parquet nuovo. Anzi, non si è rotta, è come se l'avessi tagliata. Sono sorpreso e al tempo stesso contento di aver potuto realizzare una tale prodezza tecnica.
Ma poiché ho rotto il parquet del nuovo dojo, vado a informare, scusandomi, il giovane Maestro (Yoshitaka).
Scende nel dojo dicendo, "Ah, sì? Lei ha fatto questo? Ma non è facile da rompere".
Vedendo il parquet, lancia un'esclamazione: "Oh, è straordinario! Si direbbe che sia stato tagliato, non rotto. Per il parquet non è grave, è sufficiente farlo riparare".
Anziché farmi un rimprovero, egli è piuttosto elogiativo nei miei confronti e mi incoraggia.
Interiormente sono fiero e contento. E' in quel momento che mi accorgo della presenza del vecchio Maestro(Gichin).
"E' lei, Egami, che ha rotto questo parquet?"
"Sì, Maestro, le chiedo scusa".
Chiedendogli scusa, penso dentro di me che si congratulerà con me. "Mi segua".
Lo seguo nella sua camera al primo piano. Seduto di fronte al Maestro, sono un po' preoccupato.
Dopo un momento di silenzio il Maestro dice: "Egami, lei ha fatto ancora una cosa del genere. Il vero allenamento non deve essere ciò che lei ha fatto.
Nell'allenamento di un tempo, non facevamo cose così brutali. In un vero allenamento, bisogna posare una porta di shoji (intelaiatura in legno su cui è steso un foglio di carta) sul suolo, e versarci sopra dell'acqua.
Si alleni su questo foglio senza strapparlo e si sposti senza rompere le fini armature di legno pur esercitandosi alle tecniche con potenza.
Capisce perché e cosa dobbiamo ricercare nella tecnica?"
Ecco un prezioso insegnamento che ho ricevuto dal mio Maestro».
Quali tipi di errori Shigeru Egami pensa di aver commesso in gioventù?
«Ho scoperto il karate verso il 1924, quando ero al liceo.
Gli strani movimenti e le tecniche di un capomastro di lavori edili, originario di Okinawa, mi sembravano misteriosi e mi incuriosivano; in seguito ho capito che era solo un principiante...
Qualche anno dopo, entrando all'università, ho cominciato seriamente il karate. L'allenamento era lontano dall'essere misterioso, si trattava di ripetizioni e di allenamenti sotto sforzo.
Questo allenamento ha soddisfatto il mio primo desiderio, diventare forte. Questo tipo di allenamento permetteva di rendere lo spirito combattivo e di rafforzare il corpo, ma ho capito, andando avanti, che si trattava di una forza fisica parziale e superficiale...
Mi sono allenato in tsuki e in keri con la volontà di diventare il più forte possibile, impegnando la mia vita, cosa che mi ha permesso di ottenere una forza notevole.
Ma nel corso del tempo ho dovuto comprendere i limiti della forza fisica e della forza umana, cosa che mi ha condotto a una riflessione sulla ricerca possibile.
Ho compreso i limiti di un essere umano e ho tentato di innalzarli, esplorando e creando nuove possibilità.
Chi è debole diventa forte, chi è forte diventa ancora più forte, ma vi è un limite nella ricerca della forza fisica.
Che cos'è la vera forza, che non si può ottenere attraverso un allenamento fisico spinto al limite? Esiste una cosa del genere?...
Quando ero giovane pensavo che il karate dovesse essere assolutamente efficace e ho praticato i combattimenti liberi e, per rinforzare lo tsuki, ho anche colpito un makiwara particolarmente solido; invece di utilizzare un'asse flessibile, ho utilizzato un palo quadrato di 9 cm. Ho così deviato dal vero karate...»
0
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La scuola dell'Uttara-Mimamsa (sanscrito "Uttara", posteriore), chiamata anche Vedānta, è probabilmente il pilastro centrale dll'induismo, ed è stata certamente responsabile di un nuovo insegnamento filosofico e meditativo, del rinnovamento e della rinascita dell'induismo e della filosofia indiana. Esistono sei sotto-scuole del vedānta, la più celebre delle quali è l'Advaita vedānta fondata da Adi Shankara. I Vaishnava, adoratori di Krishna, seguono un'altra scuola del vedānta, l'"Acintya Bhedabheda", fondata da Caitanya Mahaprabhu, in forte disaccordo con l'Advaita Vedānta.
0
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Nell'induismo lo Yoga è una disciplina sia fisica che psicologica che spirituale. La parola yoga significa unione, ed è generalmente interpretata come l'unione con Dio,con l'assoluto, l'integrazione tra corpo, spirito e anima, ma il significato letterale è "unione tramite soggiogamento", in quanto la radice sanscrita yug indica il "soggiogare", per cui viene anche interpretato come l'unione dovuta allo spirito che soggioga la materia, ovvero il corpo, la manifestazione materiale.
Scopo dello yoga è il Mokṣa, la liberazione dal (samsara), la ruota eterna delle rinascite, e quindi dalla reincarnazione stessa, come conseguenza dell'annullamento del (karma) accumulato in vita. La liberazione, a sua volta, è conseguenza diretta del raggiungimento del samadhi assoluto (senza seme, senza oggetto), ovvero l'ultimo passo di tutto il cammino dello yoga. Lo yoga cerca di raggiungere la liberazione attraverso il distacco dello spirito (purusa) dalla natura materiale (prakŗti), ovvero attraverso la liberazione dello spirito dall'inganno di identificarsi con la manifestazione materiale, considerata la causa prima di tutte le sofferenze umane è infatti proprio l'ignoranza, da leggersi come ignoranza ontologica, chiamata (avidya). Gli strumenti messi a disposizione, secondo la codifica di (Patanjali) contenuta nello (Yoga Sutra), il più antico trattato scritto di yoga, sono la meditazione, gli esercizi fisici e respiratòri e spirituali. In tutto vengono elencati otto passi della disciplina, che pende il nome di (astanga yoga) (yoga in otto parti): (yama) e (niyama), le pratiche etiche(asana), le posture fisiche (pranayama), la scienza del respiro e dell'energia (prana), (pratyahara) ovvero il ritiro dei sensi, che compongono lo yoga cosiddetto esterno, e poi le tre membra dello yoga interno (antar yoga), ovvero (dharana) il mantenimento della concentrazione, (dhyana) la meditazione, e il (samadhi), la beatitudine (ananda) che può differenziarsi in 'con seme', ovvero in cui c'e' ancora una traccia di manifestazione materiale nella coscienza, o 'senza seme', dove lo stato di beatitudine è assoluto, perché il tutto è oggetto stesso e insieme soggetto del momento meditativo.